Significativamente le nuove proposte delle Nazioni Unite sugli obiettivi post 2015 non includono due questioni di urgente e strutturale rilevanza: le migrazioni e i conflitti. Gli stati nazione non convergono su obiettivi comuni. Nell’ultimo documento dell’open working group delle Nazioni Unite c’è solo un rimando all’esigenza di assicurare migrazioni ordinate e sicure. È assente una governance internazionale sulle migrazioni. Tutto si gioca su rapporti bilaterali ed eventualmente regionali, laddove possibile. Ed è qui che può avere un ruolo importante l’Unione europea: quello di avanzare nella regionalizzazione di una governance migratoria orientata allo sviluppo comune dei paesi di origine, transito e destinazione.
In particolare, dal punto di vista Italiano e mediterraneo, è essenziale costruire una politica migratoria e di cooperazione allo sviluppo regionale, superando approcci nazionalistici inefficaci e miopi. Perché le migrazioni sono il sintomo più evidente di crisi complesse che si giocano nel nostro spazio: i conflitti dalla Libia al Medio Oriente alla penisola araba, il mal sviluppo con crescenti livelli di disoccupazione, la crisi europea e in specifico del sud Europa, assieme alle difficili transizioni di potere dalle primavere agli autunni arabi. In questo quadro è evidente come l’esigenza di costruire una nuova politica migratoria vada di pari passo con la necessità di ricostruire una politica europea verso un’area che è allo stesso tempo dentro e fuori i suoi pretesi confini.
Negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza europea sulle migrazioni. Il recente discorso di insediamento del nuovo presidente della Commissione Junker indica il suo impegno per la creazione di una politica migratoria europea, nominando un commissario con maggiori poteri sulle migrazioni. Così come si sta discutendo la creazione di raggruppamenti di commissari maggiormente coordinati per affrontare temi trasversali, secondo la cosiddetta clusterizzazione. E in questo senso sarà importante il ruolo che giocherà il rappresentante dell’UE per l’azione esterna.
In Germania è in corso un dibattito per rafforzare o limitare la politica di accoglienza per i richiedenti asilo, e per definire una nuova politica migratoria orientata al futuro visti bisogni del mercato del lavoro e il calo demografico interno.
Le guerre nel Mediterraneo e nella penisola Araba, la bomba demografica e la crescente disoccupazione, che si espande anche nel sud Europa a seguito della crisi finanziaria ed economica, approfondendo la periferizzazione, l’esclusione, e quindi le frontiere: sono eventi e processi che coinvolgono e spaccano tutta l’Europa.
Di fronte a questi processi occorre non solo avere consapevolezza, ma qualificarla con prospettive positive per uno sviluppo condiviso e pacifico nel Mediterraneo. Riguardo la politica migratoria esiste un approccio europeo, il Global Approach on Migration and Mobility, che si gioca su 4 assi: migrazioni irregolari, migrazioni regolari, asilo, e migrazioni e sviluppo. Ma su cui pesano diverse questioni politiche irrisolte. Tra queste ricordiamo:
- lo sbilanciamento sui temi della sicurezza, e l’assenza di un piano orientato alla mobilità e allo sviluppo comune; ad esempio, lo strumento dei partenariati di mobilità (PdM) e le iniziative regionali sono orientate al controllo delle frontiere, mentre non c’è quasi nulla sulla mobilità delle persone, e qualche progetto sui temi di migrazioni e sviluppo per assistere i gruppi vulnerabili e promuovere un ruolo attivo dei migranti per lo sviluppo, valorizzando rimesse e spiriti imprenditoriali;
- lo sbilanciamento sul versante nazionalistico e poco su quello europeo, le decisioni determinanti rimangono a livello di stati nazionali, le direttive europee emanate stabiliscono dei minimi comun denominatori ma sono limitate e inefficaci perché tutto è demandato a politiche nazionali restrittive. Si registra una insufficiente solidarietà tra i paesi membri, ad esempio nel caso dei richiedenti asilo con riferimento alla convenzione di Dublino, che è accompagnata, ed è motivata, da una insufficiente responsabilità di alcuni paesi per l’ accoglienza, come nel caso dell’Italia.
- L’incoerenza nel rapporto dell’UE con i paesi del sud del Mediterraneo, tra politica estera, di cooperazione, di commercio, sulle migrazioni e sulla finanza. Gli accordi approfonditi e comprensivi per il libero commercio, i DCFTA, non considerano la questione della mobilità delle persone, se non in modo molto selettivo. La politica estera europea, divisa tra i suoi stati membri, risulta infine debole e incapace di collegare la protezione internazionale, e la creazione di corridoi umanitari, con una strategia per la pacificazione dell’area.
Per questo occorre elaborare una narrativa mediterranea con proposte concrete su migrazione e cooperazione, su mobilità e mercati del lavoro, su protezione internazionale e ricostruzione della pace. È necessario che le ONG si confrontino per immaginare alternative. A Lampedusa, il 4 ottobre, il giorno dopo la commemorazione della strage del 2013, nell’ambito del Festival Sabir, vi sarà un incontro su questi temi. In particolare CONCORD con il suo gruppo sulle migrazioni, curerà uno spazio di discussione sui temi della mobilità per lo sviluppo, della cooperazione con i migranti e sui ritorni, sempre in un’ottica di sviluppo. Le critiche e raccomandazioni saranno discusse con parlamentari europei e rappresentanti istituzionali. A Lampedusa verranno portate riflessioni già emerse in incontri precedenti, e si individueranno nuovi orientamenti in modo da arrivare a delle proposte condivise. Partecipare consentirà di contribuire a costruire quella politica del Mediterraneo che oggi, drammaticamente, manca.
*Focsiv e CeSPI- Coordinatore del Gruppo Immigrazione di CONCORD Italia