rifugiatiLuca Visentini*

Mentre leggete queste righe ci sono migranti che tentano di attraversare il mare Mediterraneo, nella speranza di raggiungere l’Europa e fuggire da guerre, dittature e povertà. Molti di loro moriranno, tra quelli che ce la faranno otto su dieci avranno lo status di rifugiati, ma impiegheranno mesi (se non anni) per ottenerlo. Nel frattempo saranno “imprigionati” nei centri di detenzione e non potranno lavorare, quando ne usciranno non potranno raggiungere il paese in cui si trova la loro famiglia o potrebbero rifarsi una vita.

L’immigrazione, assieme alla crisi economica, è la più grande emergenza dell’Europa. Paradossalmente la stragrande maggioranza dei nuovi migranti arrivano per ragioni umanitarie, l’immigrazione economica ha perso terreno e la disoccupazione ha colpito gli immigrati più degli europei.

Le istituzioni dell’Unione stanno compiendo sforzi per modificare la “narrativa” dei fenomeni migratori. Da un approccio basato solo su sicurezza, controllo dei confini, lotta ai clandestini, respingimenti e quote di ingresso, si è passati all’idea di considerare l’apporto dei migranti all’economia e alla società. Questo ha prodotto una maggiore attenzione all’integrazione e alla parità di trattamento, sul posto di lavoro, nell’accesso ai servizi pubblici, nei diritti civili. Un ampio quadro legislativo è stato prodotto in Europa.

Tuttavia gli sforzi sono ancora troppo deboli, le norme incoerenti, il ruolo dell’Unione continuamente frustrato da stati membri che non vogliono mettere in comune politiche, fondi, solidarietà. Quei governi oggi inventano lo slogan del “turismo sociale” dei migranti, che si muoverebbero non per lavorare ma per sfruttare il welfare europeo. Una teoria del tutto destituita di fondamenti empirici, ma molto in voga tra le forze conservatrici.

Il contributo (economico, fiscale, sociale) dei migranti all’Europa continua a essere in attivo, ma essi non beneficiano ancora di una vera parità di trattamento in tutti i campi. Una “normativa-quadro” a livello europeo sull’equo trattamento è indispensabile, è il primo obiettivo di una seria strategia per l’immigrazione.

Il secondo obiettivo è una politica europea per l’asilo, che rilanci il ruolo dell’Unione nella lotta al traffico, anche e soprattutto nei paesi di origine, così come nella costruzione di una diversa idea di salvataggio a mare, nonché di solidarietà nell’accoglienza dei rifugiati nei vari paesi membri (attraverso la revisione del Regolamento di Dublino).

La Commissione Europea sembra consapevole di questa sfida, con il nuovo piano per l’immigrazione (An Open and Secure Europe: Making It Happen) e il programma Frontex Plus. Tuttavia il freno posto dai governi e i limitati poteri dell’Unione rischiano di portare a nuovi fallimenti.

La speranza è che il semestre di presidenza italiana, visti gli interessi del nostro paese nel Mediterraneo, possa contribuire a un sostanziale passo avanti. Ma dev’essere chiaro che quanto fatto finora non basta: nuovi strumenti sono necessari e ci vuole coraggio da parte di tutti gli attori. Il ruolo delle organizzazioni della società civile è essenziale. Va intrapresa la strada impervia ma necessaria del negoziato con le istituzioni, per ottenere risultati tangibili a favore dei migranti.

 

*Segretario Confederale Confederazione Europea dei Sindacati

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