lavoratori_fabbricadi Monica Di Sisto*

L’eradicazione della povertà estrema è possibile solo con un approccio olistico basato sull’equità che vede il lavoro dignitoso come fattore determinante per il suo raggiungimento. La presenza dei sindacati tra gli attori riconosciuti della Cooperazione italiana è una novità introdotta dalla recente Riforma125/2014, ma le pratiche di solidarietà internazionale promosse dalle Ong nate dal mondo del lavoro hanno una lunga storia nel nostro Paese.

Risultati importanti che dimostrano come sia determinante mettere a valore molti fattori non monetari che caratterizzano una società sana, come auto-produzione, autoconsumo e consumo responsabile, lavoro di cura, relazioni di comunità, lavoro collettivo, sovranità alimentare, agroecologia, catene di distribuzione diretta tra piccoli produttori e consumatori, tutti riconducibili ai nuovi concetti di economia sociale e solidale. Ma anche che tutte le politiche di cooperazione non possono che basarsi sulla promozione del lavoro dignitoso, il pieno rispetto dei diritti sociali e del lavoro – parte integrante dei diritti umani – coinvolgendo attivamente nella loro attuazione le organizzazioni dei lavoratori dei Paesi partner. E infine che le politiche di investimento e commerciali, così come l’iniziativa privata, cui la Riforma stessa riconosce un accreditamento “de facto” all’interno del Sistema Italia della Cooperazione, devono essere coerenti con il quadro internazionale di diritto precisato, tra le altre, dalle convenzioni Onu e Ilo.

Per questo a Bologna il 29 ottobre scorso, nel quadro delle attività promosse da Concord Italia per il Semestre di presidenza italiana dell’Ue, Arcs, Ipsia, Iscos, Nexus, e Progetto Sud hanno organizzato presso la Camera del Lavoro di Bologna l’incontro “Lavoro, diritti, economia sociale nei nuovi scenari della cooperazione internazionale”: una giornata di confronto tra le migliori pratiche di Cooperazione internazionale in questo ambito, e un dialogo con le reti di settore e le istituzioni per inquadrarne limiti e possibilità, proprio alla luce della recente Riforma.

I lavori, articolati in due sessioni – una più propriamente di inquadramento e la seconda di verifica sul campo della riflessione a partire dai dati di realtà presentati dalle pratiche in corso – sono partiti dalla constatazione, lanciata dalla portavoce Aoi e direttrice di Arcs Silvia Stilli, che nella Cooperazione italiana gli attori sono plurimi ormai anche per legge, che la normativa ancora non ha sciolto i molti chiaroscuri che questo riconoscimento incondizionato comporta, che alcuni pure rappresentativi tra essi, come gli Enti locali, sono usciti dalla Riforma con un profilo ridimensionato, mentre altri, pur profit ma d’ispirazione più sociale, cooperativa, temono di finire schiacciati su una visione di futuro condiviso diversa, lontana dalla propria. In questo quadro, il lavoro offre una chiave interessante per leggere la direzione verso la quale si potrebbe procedere.

Non basta, secondo Mario Arca, presidente di Iscos, l’economia sociale, una “terza via” tra profit e non profit ancora bambina, in molti contesti del mondo assente, ma bisogna puntare a riorentare l’economia occidentale superando la contrapposizione tra profitto e gratuità lavorando e sostenendo quel profitto economico che si fa profitto sociale e profitto ambientale, e che oltre che creare valore crei valori. In un momento in cui, però, ha sottolineato il vice presidente di Acli Stefano Tassinari, la democrazia sembra aver fatto un po’ il patto con l’aristocrazia globale, la sfida per la cooperazione non profit, ma anche per il profit stesso, è quella di ricostruire sovranità, mescolando produzione e cultura, verso un nuovo paradigma che superi la responsabilità sociale verso una riappropriazione da parte delle persone, a partire dal lavoro e dai suoi luoghi, della coscienza e della responsabilità dei propri diritti.

La proposta lanciata da Bruno Bruni, presidente di Prosud, è che a partire dalle organizzazioni sindacali stesse si lavori più insieme, a proposte condivise Paese per Paese, programma per programma, a partire dall’area del Mediterraneo, per aumentare in scala, efficienza ed efficacia, e presentare così un proprio modello d’intervento da proporre anche ai privati come una visione più ampia e integrata di risposta sul campo. Ma questo nuovo interlocutore, ha sottolineato Leopoldo Tartaglia, del Dipartimento Politiche Globale della Cgil, non preoccupa solo perché rischia di concorrere sulle poche risorse disponibili, in un quadro come quello presente, usandoli per azioni surrettizie d’internazionalizzazione delle proprie operazioni.

Inquieta forse di più se letto come ulteriore segnale del ritiro dello Stato, non solo dal ragionamento sulla dimensione solidale e umanitaria della propria azione di Cooperazione, ma in una chiave di coerenza delle politiche essendo il nostro Paese molto carente, a detta dell’Ocse Dac stesso, di strumenti di verifica e iniziativa puntuale delle eventuali incoerenze che si verificano sul campo. I sindacati dunque, come soggetto di cooperazione, hanno specifiche pratiche su cui la cooperazione che verrà potrà misurare la propria efficacia: dialogo sociale, contrattazione, concertazione non sono dunque traguardi raggiunti, ma paletti da cui ripartire, nei Paesi partner come nel nostro.

*vicepresidente Fairwatch – Responsabile Policy Coherence for Development per ARCS nel progetto “More and Better Europe”

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