pezzo 3 andreaa cura di Andrea Stocchiero*

Nell’ultimo anno l’Unione Europea (UE) ha accelerato la revisione dei suoi rapporti con i paesi terzi in campo migratorio: dal Piano de La Valletta di Novembre 2015 alla recente comunicazione sul Nuovo Quadro Partenariale. In questa corsa “revisionistica” sono evidenti sempre di più alcuni paradossi che mettono in pericolo il senso della cooperazione allo sviluppo e più in generale una politica estera europea fondata sul cosiddetto civilian power.

Il primo evidente paradosso è che l’Unione europea nei trattati è presentata come un faro dei valori umanistici, dei diritti umani, e quindi anche dell’accoglienza, mentre nella pratica è incapace di solidarietà. Incapace di solidarietà verso chi fugge dalle guerre. Incapace di solidarietà interna tra i paesi membri, visto che la ricollocazione non è messa in atto, e che con il regolamento di Dublino si lasciano Grecia e Italia da sole nel gestire le richieste di asilo (la riforma proposta dalla Commissione è assolutamente insufficiente). Incapace di solidarietà esterna verso i paesi vicini e lontani, visto che i finanziamenti reali per la cooperazione sono poco significativi (ricordiamo i 1,8 miliardi di euro del Trust Fund per l’Africa, che, divisi per tutti i paesi coinvolti e per 5 anni, fanno all’incirca 20 milioni di euro all’anno per ogni singolo paese).

E a quest’ultimi riguardo si può evidenziare un secondo paradosso: Il Trust Fund è nominato di emergenza sulle migrazioni, quando invece la questione è di carattere strutturale di lungo periodo. Continuiamo a trattare le crisi in modo emergenziale, quindi con soluzioni tampone, mentre non sviluppiamo sistemi istituzionali e rapporti internazionali di carattere strutturale. Le risposte devono riguardare le cause profonde: povertà, disuguaglianza, sfruttamento delle persone e dell’ambiente. Ed in effetti il Piano de La Valletta le indica, e parte del Trust Fund è speso su questi problemi, ma, oltre che in modo insufficiente, si può aggiungere anche in modo incoerente, e qui veniamo al terzo fondamentale paradosso.

Il terzo paradosso: da un lato l’Unione chiede ai paesi terzi più cooperazione per gestire le migrazioni, magari con un po’ di più risorse, mentre dall’altro impone condizionalità e la firma accordi di partenariato economico e di libero scambio che mettono in crisi le produzioni e quindi l’occupazione locale, generando nuove spinte all’emigrazione, così come continua ad essere blanda nell’imporre regole sui movimenti di capitali, contro i paradisi off-shore e le fughe di capitali. Manca coerenza, ma soprattutto non si mette in discussione il modello di sviluppo che genera disuguaglianze, insicurezza umana, precarietà, e quindi migrazioni, che vengono invece facilitate quando sono funzionali allo stesso sistema.

L’incapacità, ma meglio si dovrebbe dire, assenza di volontà politica tra gli stati membri, di solidarietà interna si scarica all’esterno sulle spalle già provate dei paesi terzi, pensiamo ad esempio al Libano che ospita oltre 1 milione di rifugiati su una popolazione totale di 4 milioni di abitanti. Per salvare Schengen, la mobilità dentro all’Unione, si rafforzano le frontiere esterne: chiaro esempio è il recente trattato UE-Turchia; ma ancor di più si esternalizzano il controllo e il freno alle migrazioni. La recente proposta della Commissione europea sul Nuovo Quadro Partenariale con i paesi terzi, adottata al Consiglio europeo di Giugno, prevede la realizzazione di accordi-compact con alcuni paesi chiave, come l’Etiopia, il Niger, la Nigeria, … e in prospettiva la Libia, ma anche l’Iraq e l’Iran, per rafforzare le loro frontiere in modo da fermare le migrazioni verso l’Europa. Si genera così una prospettiva di relazioni internazionali frammentate, fondate su interessi di corto respiro, senza una visione e principi comuni. Su questi punti Concord ha inviato recentemente una lettera ai premier Matteo Renzi.

*Gruppo Migrazioni e Sviluppo Concord Italia – Focsiv

Tagged with →  
Share →