a cura di Andrea Stocchiero*
Il Consiglio europeo di Bratislava ha registrato uno stallo, un arretramento, o, peggio, un fallimento per il governo Italiano e in generale per un rilancio di politiche migratorie e di sviluppo fondate sui diritti umani.
Il Presidente Renzi ha dichiarato esplicitamente in diversi consessi la sua delusione per le decisioni del Consiglio europeo, che risulta immobile sia sul versante interno con il fallimento della misura di ricollocamento, sia sul versante esterno con proposte che non offrono reali prospettive per lo sviluppo africano. La posizione delle organizzazioni della società civile è ben più critica.
La proposta del governo italiano del Migration Compact è stata rimaneggiata dalla Commissione e adottata dal Consiglio europeo ma nella sua versione peggiore: il Nuovo Quadro Partenariale con i Paesi Terzi secondo l’Agenda Europea sulle Migrazioni rappresenta la peggiore Comunicazione della Commissione elaborata in questi ultimi anni, e presenta una divisione del lavoro chiara ma incoerente tra Direzione generale affari interni e Direzione generale sviluppo, tra obiettivo di breve termine e obiettivo di lungo termine. Nel breve termine il messaggio è chiaro, i governi dei paesi di origine e di transito vanno pagati per fermare i flussi e far rimanere là rifugiati e migranti. Il non detto, ma evidente, è che occorre contenere i flussi perché nel breve termine le grandi coalizioni dei partiti tradizionali devono vincere le prossime elezioni, in particolare in Germania e Francia, rassicurando i cittadini rispetto alla crisi migratoria. Nel lungo termine si mobilitano investimenti per creare occupazione e quindi aggredire le cause alla radice dei flussi migratori. E per questo si sta lanciando il Piano per gli Investimenti Esteri.
La politica di contenimento si è rafforzata con il successo dell’accordo con la Turchia: i flussi verso la Grecia si sono molto ridotti. I Migration Compact previsti nel Nuovo Quadro Partenariale dovrebbero servire a diffondere questo tipo di accordo verso alcuni paesi africani ed asiatici da cui provengono i principali flussi di migranti. Ma a quale prezzo per i diritti umani e la dignità delle persone vittime di conflitti e di insicurezza? Questo non interessa o viene considerato secondario da governi europei ripiegati sulla necessità di far fronte alle sconfitte elettorali e di preservare il consenso interno alle prossime scadenze elettorali.
A sua volta il Piano per gli Investimenti Esteri, al di là della dubbia questione sulla capacità di mobilitare risorse private per gli investimenti, non risponde al problema di fondo geopolitico, che ha a che vedere con i cosiddetti stati fragili, paesi ed aree geografiche dove l’insicurezza umana è diffusa e crescente, senza poter contare su istituzioni capaci di rispondere alle vulnerabilità ma che, anzi, in alcuni casi, sono esse stesse fonte di conflittualità e repressione. Stati fragili su cui, peraltro, si riversa il fallimento interno dell’UE che, non sapendo come risolvere in modo condiviso la gestione dei flussi, sostiene la crescita di aree cuscinetto lungo i suoi confini, nei paesi di transito. La crescita di queste aree cuscinetto genera instabilità crescenti tra migranti e comunità locali, tra fazioni e milizie, che si nutrono di queste instabilità per riprodursi, in un circolo vizioso senza fine. Paesi come il Libano, la Giordania, l’Iraq, la Turchia, e poi Etiopia, Sudan, Niger, Mali, Burkina Faso, hanno visto aumentare le tensioni e gli scontri. La costruzione della Fortezza europea non fa che alimentare queste tensioni.
E, purtroppo, queste aree cuscinetto si stanno creando anche nei paesi europei al confine: in particolare in Grecia e Italia. Il fallimento della riforma del Regolamento Dublino e la chiusura dei paesi membri al ricollocamento, fa si che l’Italia rimanga da sola nel gestire l’accoglienza, mentre cresce la crisi sociale dei ricorrenti sine die, dei diniegati definitivi e degli irregolari, a cui si accompagnano le difficoltà di integrazione per i rifugiati e migranti nel mezzo della crisi del mercato del lavoro.
Occorrerebbero forti investimenti sociali per favorire l’integrazione ma il patto di stabilità non lo consente. Ecco allora che il cerchio si chiude: dai migration compact al fiscal compact, l’UE sta rappresentando una gabbia per lo sviluppo umano. Le condizioni politiche non sembrano consentire grandi cambiamenti, almeno nel breve termine, che è quello che conta sia per fermare la continua strage nel Mediterraneo ma sia, anche, per mantenere il consenso da parte delle coalizioni al governo. Sembra che questa sia la tragedia: per mantenere il consenso interno non si ha il coraggio, almeno, di creare dei corridoi umanitari significativi, che vadano oltre la pur lodevole testimonianza dell’iniziativa delle chiese. La richiesta di Renzi di escludere le spese per l’accoglienza dal patto di stabilità andrebbe allora integrata da quella per finanziare i corridoi umanitari assieme a grandi programmi umanitari e per lo sviluppo delle comunità locali nelle campagne e nelle città dei paesi di transito e origine, con risorse certe, e magari raccolte dai paradisi off-shore.
* Gruppo Migrazioni e Sviluppo Concord Italia – Focsiv