a cura di Luca De Fraia*
Il rapporto AidWatch presentato da CONCORD a Brussels il 16 ottobre va apprezzato per la sua qualità di strumento di accountabilty, ovvero di verifica degli impegni europei in termini di quantità e qualità degli aiuti. Un elemento di forza è la metodologia per valutare la consistenza dell’aiuto genuino, ovvero quelle risorse che effettivamente lasciano il continente per approdare nei Paesi partner. Il dato che riassume la situazione è che, al passo attuale, l’Europa non potrà raggiungere l’obiettivo dello 0,7% prima del 2050, se prendiamo in considerazione gli aiuti veri.
Ma il rapporto pubblicato quest’anno offre anche una preziosa occasione per comprendere come le politiche di cooperazione stiano cambiando in profondità. L’Europa è forse il laboratorio principale nella costruzione delle policies della cooperazione; la regione rappresenta, infatti, il più ampio blocco di donatori, che sono chiamati ad affrontare numerose sfide in termini di armonizzazione e coordinamento delle proprie iniziative, pena il rischio di avere una pletora di iniziative che non giova a nessuno. Non è un caso quindi che l’Europa si stata la culla dell’agenda per l’efficacia degli aiuti, adottata nella sua forma più completa a Parigi nel 2005.
L’Europa è da diverso il campo di sperimentazione di nuove tendenze come nel caso della valorizzazione del settore privato e, in questo contesto, della funzione catalitica degli aiuti. Gli ultimi due anni, a partire dalla fine del 2015, hanno visto un’accelerazione di questi processi trasformativi, rispetto ai quali l’adozione dell’Agenda 2030 non è estranea. Infatti, l’ampiezza delle ambizioni, ben 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, dei nuovi bisogni finanziari ad essi collegati stanno mettendo in sofferenza i principi e le prassi della cooperazione.
Il rapporto AidWatch analizza diversi momenti di questa evoluzione, esaminando l’impatto che hanno avuto passaggi come la creazione del trust fund per l’Africa, l’introduzione dei migration compact, il lancio nel nuovo piano di investimenti (EIP) e del fondo per lo sviluppo sostenibile e quindi dell’adozione del nuovo Consenso per lo sviluppo. Proprio le valutazioni sul Consenso sono l’occasione per mettere in evidenza come l’integrazione delle politiche di cooperazione con quelle delle relazioni esterne produca una combinazione che mette a rischio la natura della cooperazione europea, che sempre di più soffre la pressione a trasformarsi in complemento di altri interessi, fra questi certamente le politiche migratorie e di sicurezza dell’UE.
L’Italia ha un posto di rilievo in questa storia. Non tanto per quanto riguarda la perfomance in termini di volumi, che rimane una delle più deboli con lo 0,26% APS/PIL nel 2016, ampiamente dovuto, fra l’altro, a una forte componente di costi per l’accoglienza a rifugiati, più di un terzo del totale, che fa del nostro Paese il primo beneficiario dei propri aiuti. Ma dall’Italia sono venute anche precise indicazioni a esempio in tema di migration compact, dei quali in passato si è rivendicata la primo genitura, così come di finanziamenti al trust fund per l’Africa (La Valletta), che potrebbero arrivare a 90 milioni di euro. In questo capitolo merita anche una menzione la vicenda del codice di condotta per le organizzazioni che svolgono attività di soccorso in mare, imposto dal Governo e che segna un ulteriore torsione dello spirito della cooperazione.
*Luca De Fraia – Coordinamento Concord Italia – Actionaid Italia